venerdì 2 marzo 2012

Wakey wakey, eggs and bakey

Siamo alla fine di un’era? Da alcuni anni a questa parte – precisamente dal 2008, l’anno della crisi dei “mutui subprime” – il mondo è atterrito dalla prospettiva di “perdere tutto”: ossia di perdere il sistema di valori – e di potere – che si è costituito a partire dalla rivoluzione industriale degli anni ’50 del ‘700 in Gran Bretagna, per diffondersi poi negli ottant’anni successivi in tutta Europa e nelle nazioni nate dal colonialismo europeo dei secoli precedenti, prima di “invadere” la quasi totalità del mondo nel XX secolo.
Oggi viviamo, con ogni probabilità, il crepuscolo di un sistema che si può sintetizzare con schema piramidale: alla base, la grande massa di cittadini/consumatori, che col loro voto periodico alimentano il ceto a essi direttamente superiore (la classe politica), cinghia di trasmissione con il vertice della piramide, il capitale. Tutte le società occidentali si sono strutturate attorno a questi capisaldi, dall’Inghilterra settecentesca – prima monarchia costituzionale al mondo, segno della ricerca di un equilibrio tra il capitale emergente e il vecchio ordine aristocratico di origine medievale – agli Stati Uniti, prima società espressamente borghese nata sul pianeta Terra, per finire con la Rivoluzione Francese e i suoi “figli” ottocenteschi. Ci sono state esperienze novecentesche, rilevanti ma fallaci, che hanno cercato di ridiscutere radicalmente l’organizzazione politica, ideologica ed economica delle nazioni (i fascismi e i regimi comunisti), ma a dominare il mondo è, da oltre due secoli, il sistema della cosiddetta “democrazia liberale” sintetizzato per sommi capi qualche riga sopra. Oggi viviamo delle gravi crisi che, come già accennato, stanno mettendo drasticamente in discussione il sistema, che mostra il fianco a una serie di problematiche notevolissime. Vediamole.
1.      Il problema della “crescita”. Il sistema economico liberista è basato sulla crescita infinita, ossia sull’aumento costante dei profitti nel tempo. Si tratta di una caratteristica fondante, senza la quale il capitalismo come l’abbiamo conosciuto a partire dal tardo ‘700 si svuota di significato. Negli anni ’70 del secolo scorso è parso evidente che, di fronte al progressivo esaurimento delle risorse naturali, la crescita “vecchio stampo”, basata sull’apparato industriale, non sarebbe più stata possibile1: lo sviluppo del mondo finanziario venne in soccorso alla “crescita” creandola artificiosamente attraverso la proliferazione di strumenti come i derivati che, stando alla definizione canonica, sono[1]: ogni contratto o titolo il cui prezzo sia basato sul valore di mercato di uno o più beni (quali, ad esempio, azioni, indici finanziari, valute, tassi d'interesse).Gli utilizzi principali degli strumenti derivati sono l'arbitraggio (ossia l'acquisto di un prodotto in un mercato e la sua vendita in un altro mercato), la speculazione e la strategia di copertura di un rischio finanziario (detta hedging).
In altre parole, i derivati sono pane per i denti degli speculatori finanziari. Si tratta di scommettere montagne di denaro su debiti contratti da privati come i mutui immobiliari (da cui la crisi dei “mutui subprime” del 2008) o sulla solvibilità del proprio debito da parte di uno stato o di un altro soggetto economico: se lo stato non è in grado di ripagare il suo debito, io possessore di titoli di quel soggetto, che attraverso un prodotto derivato particolare – il CDS, credit default swap – ho contratto una vera e propria assicurazione con un ente finanziario, non solo non ci perdo nulla ma addirittura ci guadagno una quantità di denaro ancora maggiore. Un sistema basato sul rischio e sul debito, naturalmente, non poteva durare in eterno e con la crisi del 2008 abbiamo assistito all’emergenza di un problema sistemico e strutturale del capitalismo contemporaneo, la cui unica soluzione logica porterebbe alla cessazione di questi “trucchetti” chiamati derivati e alla regolamentazione integrale dei mercati finanziari, abolendo i mercati over-the-counter (cioè deregolamentati, a uso e consumo di sciacalli e “creativi” nefasti). Ma è utopistico pensare che ai nostri “padroni” possa passare per il cervello una soluzione di questo tipo: meglio affondare con la nave, piuttosto che salire sulla scialuppa di salvataggio…
2.      Il problema ecologico e delle risorse. Secondo i sostenitori dello sviluppo sostenibile, attraverso l’uso delle fonti rinnovabili possiamo continuare ad avere sviluppo – cioè crescita economica – rinunciando ai combustibili fossili che, oltre ad essere non rinnovabili, stravolgono gli ecosistemi e comportano rischi elevati per la salute umana (su questi aspetti hanno pienamente ragione). Le rinnovabili – l’energia eolica, solare, geotermica, idroelettrica – però non possono, almeno allo stato attuale della ricerca tecnologica, garantire i tassi di crescita necessari al sistema per prosperare secondo le sue regole bicentenarie, che solo fonti energetiche a basso costo e dall’elevato rendimento come carbone e petrolio hanno potuto sostenere e far sviluppare nel corso dei decenni. Inoltre, come spiega Serge Latouche, il termine stesso sviluppo sostenibile è un ossimoro: " "Sviluppo sostenibile" è un impostura, un ossimoro come dire – una luce oscura –  dal momento che lo sviluppo , che l'unico sviluppo che noi conosciamo è quello che è sorto nella seconda metà del ‘700 in Inghilterra , dalla rivoluzione industriale e cioè una guerra economica contro gli uomini e degli uomini contro la natura. E' impossibile chiedere allo sviluppo di essere "sostenibile", è contro la sua stessa sostanza. Queste parole d'ordine retoriche invece di aprire la ricerca verso modi di vivere che siano rispettosi dell' ecologia ambientale mirano all'eternizzazione dello sviluppo, alla consacrazione del così detto "sviluppo durevole".
E questi sono i due filoni principali del problema: non abbiamo considerato l’annosa questione dello smaltimento dei rifiuti, la schiavitù psicologica dell’uomo contemporaneo verso il consumo di merci, né gli effetti nefasti della delocalizzazione della produzione industriale nei paesi del Terzo Mondo… Insomma ce n’è abbastanza per poter dire che i giochi sembrano proprio finiti. La crescita infinita è stata un’utopia che ci ha accompagnati per due secoli, fungendo da vero motore di tutte le rivoluzioni borghesi, e della modernità in senso più ampio. I nostri antenati vivevano in un sistema dominato dall’aristocrazia e dal clero, in un regime economico di sussistenza. Lo sviluppo impetuoso dell’influenza  della classe mercantile borghese, nel corso del diciottesimo secolo, ha permesso il trionfo degli ideali illuministici sul piano politico e civile e della teoria liberista di Adam Smith nel campo economico, ristrutturando alla radice la nostra civiltà. Siamo giunti ora alla fine di un ciclo, del quale è necessario conservare e anzi riaffermare gli aspetti positivi – il primato del diritto sui diritti individuali di casta o censo – ma abiurare risolutamente quelli negativi, che hanno permesso la costruzione di una società dissennatamente rivolta verso un’utopia irrealizzabile e, per imporla, ha posto l’economia al di sopra dell’interesse pubblico, della politica, e della comunità stessa.


1 http://www.youtube.com/watch?v=EQqDS9wGsxQ
[1] http://it.wikipedia.org/wiki/Derivati