Nel corso dello sciopero europeo
indetto da numerose sigle sindacali continentali per protestare contro le
misure d’austerity imposte dall’UE – si è manifestato da Londra ad Atene, da
Berlino a Lisbona – si sono verificati numerosi atti di violenza che, al di là
della “vulgata” comune e dei mantra dei politici (che suonano ovunque
come:”legittimo manifestare pacificamente ma ogni atto di violenza va
condannato”), segnalano quanto sia alta la febbre sociale nelle popolazioni del
vecchio mondo. Gli studenti, in quanto in primo luogo giovani, hanno ovviamente
espresso i maggiori ardori, ma al di là di una questione pressoché fisiologica,
va registrato un aspetto psicologico non secondario che accomuna una vasta fascia
di popolazione, che va suppergiù dai 15 ai 35 anni: la totale incertezza relativa al proprio futuro.
L’ultima generazione ad aver
affrontato una crisi di prospettive di questa ampiezza è stata quella che, tra
gli anni ’30 e ’40, è stata schiacciata dalla Grande Depressione prima e dalla
Seconda Guerra Mondiale poi (speriamo che questo tetro ricorso storico non si
verifichi nuovamente).
Il “trentennio glorioso” post-bellico e il successivo trentennio
(o poco meno) finanzcapitalistico – in mezzo, i vanagloriosi anni ’80 con la
loro onda lunga socio-culturale – avevano fornito ai propri giovani un percorso
di futuro facilmente percorribile in base alle proprie inclinazioni,
possibilità e personalità. I gruppi di protesta, in quel periodo storico,
assumevano proporzioni variabili, anche di notevole entità, ma non riuscivano
mai a rappresentare tout court la gioventù alla quale si rivolgevano, vuoi per
le politiche di piena occupazione dell’epoca keynesiana, vuoi per la brillante
propaganda liberista del periodo thatcheriano-raeganiano, rafforzata da una
fase di crescita ancora presente seppur inferiore a quella del trentennio
precedente.
In questa fase calante del
capitalismo, con tutti i suoi chiari di luna, la gioventù è indubbiamente tra i
settori sociali più mal messi: la scuola è stata trasformata in un “centro di
addestramento” – male in arnese – per futuri lavoratori precari, a progetto o
anche autonomi dalle scarse possibilità di affermazione sociale. Il mercato del
lavoro dal canto suo è stretto nella morsa dell’austerità e della recessione, e
presta il fianco a nugoli di profittatori che offrono contratti
semi-schiavistici anche a laureati in discipline un tempo ritenute di primario
interesse nazionale (si pensi ai molti giovani ingegneri o ricercatori pagati
una miseria con contratti debolissimi per svolgere spesso i lavori più gravosi
all’interno di aziende, laboratori e grandi studi professionali). La
disoccupazione giovanile, peraltro, ha toccato livelli esorbitanti: in Italia
si attesta attualmente al 35%, contro il 18,6% del 2007. L’aspetto ancor più
preoccupante è che di questi giovani disoccupati circa un terzo si è ormai
rassegnato a non trovare uno straccio di lavoro stabile, e quindi, di riflesso,
a vivere una vita di espedienti, o di mansioni occasionali ad ogni condizione
salariale.
Oltre a ciò, i ragazzi oggi
subiscono l’assalto dei media a loro indirizzati, che esasperano la vanagloria
materialista degli anni ’80 portandola a livelli parossistici e grotteschi, se
confrontati con il reale stato delle cose negli anni ’10 del XXI secolo.
I video musicali delle stelle dell’hip hop, del pop o dell’R&B
(da non confondere con l’identico acronimo del rythm and blues di metà ‘900)
propagandano un mondo di rapporti superficiali, esibizionismo e ostentazione
del lusso, che fa da contraltare al panorama desolante che si apre di fronte ai
nostri giovani, offrendo loro una fuga dalla realtà (interessata, considerato
che i produttori di questa musica commerciale sono grandi gruppi transnazionali
detti “major”) e un modello di vita conforme alle necessità consumistiche del
sistema capitalistico. Offre loro, inoltre, l’aridità e la superficialità come
valori, risultando in questo senso ancor più dannosa e pericolosa nel lungo
periodo. L’aspetto positivo è che questo sistema massmediatico giovanilista da
“incantatori di serpenti” ha mostrato il fianco proprio ieri, nelle enormi e
numerosissime manifestazioni di piazza svoltesi in tutta Europa. Segno che
l’umanità non è ancora così schiava delle chincaglierie massmediatiche globali
come siamo portati a credere, e che di fronte a un futuro fatto di lavori
occasionali, disoccupazione cronica e incertezza fino all’età matura, la
gioventù è ancora in grado di svegliarsi ed alzare la testa. In questo senso,
sarà importante vedere cosa accadrà nelle prossime occasioni, considerato che
lo sciopero europeo è stato un successo enorme e forse inatteso, e verrà
sicuramente replicato.
Il giorno dopo, non mancano anche le denunce – spesso
supportate da documenti video e fotografici – delle violenze gratuite commesse
dai cosiddetti “celerini” nei confronti dei manifestanti, sia in Italia che in
Europa (soprattutto in Spagna). Se nel caso degli studenti abbiamo la reazione,
a volte rabbiosa, nei confronti di un futuro che appare sempre più nero ed
incerto, dall’altra parte abbiamo un mondo più enigmatico, celato anche
metaforicamente dietro caschi e tenute anti-sommossa.
Chi scrive aveva un nonno
carabiniere che mai si sarebbe prestato a picchiare ragazzini e padri di
famiglia, per usare le parole di Beppe Grillo, nel corso di una manifestazione
simile.
E non sto parlando di un
sindacalista “rosso”, ma di una persona che amava il suo lavoro e si metteva a
servizio della cittadinanza. Penso altresì che persone come lui ce ne siano
ancora molte, nelle nostre forze dell’ordine.
C’è però una componente che deve
possedere un profilo psicologico molto più particolare.
I tagli alla spesa subiti dalle
forze dell’ordine nel corso degli anni sono noti a tutti, così come l’esiguità
degli stipendi di poliziotti, carabinieri e guardie di finanza, specie se
rapportata alla pericolosità del loro mestiere. Nonostante tutto, e nonostante
nelle piazze si trovi ormai di tutto, non solo militanti anarchici o marxisti,
ma anche casalinghe, impiegati, pensionati, ragazzini delle scuole medie
inferiori, i cosiddetti “celerini” non fanno una piega e si distinguono spesso
e volentieri per la loro brutalità. In un caso simile possono esserci ben poche
spiegazioni: la prima, è che si tratti di persone che amano la violenza, o che
comunque possiedano una vena di sadismo che “esplode” nei momenti di maggiore
stress (durante le cariche, ad esempio).
L’altra spiegazione è che abbiano
un culto maniacale dell’ordine costituito, che confermerebbe il pensiero comune
secondo il quale i celerini sarebbero tutti simpatizzanti (o militanti)
dell’estrema destra. Questo però fa a pugni (mai modo di dire si rivelò più
azzeccato…) con i fatti di cronaca di ieri, che registrano tafferugli tra forze
dell’ordine e militanti di Casapound, gli autoproclamatisi “fascisti del Terzo
Millennio”. O esiste un’aperta ostilità tra fascisti classici
(paleo-fascisti?) e quelli del terzo millennio, oppure la maniacalità
verso l’ordine costituito non è dipendente, almeno in modo diretto, da un
riconoscersi nell’ideologia fascista. E’ più probabilmente uno strizzare
l’occhio al conservatorismo radicale, che impone, quasi compulsivamente, la
difesa ad ogni costo del sistema così com’è, a prescindere da chi
effettivamente si trovi al potere.
Tanto da divenire di fatto
patologica, dal momento che va contro i loro stessi interessi di dipendenti
pubblici, gravemente penalizzati dai tagli compiuti da questo e dagli altri
governi. Fa bene Grillo ad appellarsi alle forze di polizia, chiedendo loro di
unirsi alle proteste e non di ostacolarle: la speranza, in tal senso, è che la
parte “sana” delle forze dell’ordine, riconosciuta la validità di contenuti di
chi chiede più garanzie per sé e per i propri cari, a dispetto del caos
organizzato dell’ultraliberismo, prenda le distanze dai difensori del
sistema “ad ogni costo”, e prenda una posizione chiara e forte. Questo potrebbe
essere l’inizio di una vera e propria Rivoluzione – i moti di piazza hanno
quasi sempre bisogno di un “avvallo” di almeno parte dei militari e delle forze
dell’ordine per potersi concretizzare – che prima ancora che istituzionale
dovrà essere culturale.
Perché se oggi ci troviamo di fronte ad un tunnel buio, una ragione c’è
ed è conseguenza diretta del Pensiero Unico, della sua soffocante tirannia
psichica.