giovedì 5 gennaio 2012

Un'idea diversa di Europa: Charles De Gaulle

Charles De Gaulle è stato uno dei personaggi più influenti dell'Europa di metà secolo scorso.
In prima linea nella lotta al nazifascismo, autore del famoso appello al popolo francese del 18 giugno 1940 in cui spronava alla resistenza contro l'occupante tedesco, fu negli anni '50 e '60 un protagonista di primo piano della scena politica francese ed europea, tanto amato e rispettato da alcuni quanto discusso, e spesso disprezzato, da altri, specie a sinistra (De Gaulle era un convinto anti-comunista).
Tralascio l'analisi del suo operato come presidente della repubblica francese e mi astengo dal commentare il suo anti-comunismo, in quanto si tratta di opinioni legate a un'epoca storica ormai lontana. Non è però lontana l'idea che aveva De Gaulle relativamente alla struttura e alla "missione" che avrebbe dovuto avere un'Europa finalmente in pace, integrata e democratica in un mondo che cambiava (e cambia ancor più oggi) a ritmi davvero elevati.
Questo post si avvale di un interessante articolo che ho pescato sul sito http://www.accademia19.it/, che cito per giustizia e completezza.
De Gaulle credeva nella integrazione economica con i partner europei, ma in un quadro politico in cui gli Stati nazionali avrebbero assunto più peso e responsabilità (“Non ci può essere altra Europa che quella degli Stati, tutto il resto è mito, discorsi, sovrastrutture”).
In altre parole, De Gaulle era consapevole che creare d'incanto un'Europa federale sovranazionale, un'entità calata dall'alto insomma, era un progetto assurdo - un "mito", una sovrastruttura - mentre soltanto un'integrazione partecipata e democratica per mezzo dell'azione dei vari governi nazionali avrebbe portato alla formazione di un'entità-Europa stabile, accettata da tutti e davvero indipendente, cosa che oggi non è, in quanto l'UE ha assunto la forma di un governo-ombra di tecnici, burocrati ed economisti.
 Una costante della sua azione politica fu la creazione di un asse franco-tedesco. In segreto, tuttavia, tentò di pervenire ad un accordo con gli USA e la GB per istituire un “direttorio franco-anglo-americano” alla guida dell’Alleanza Atlantica.  Londra e Washington respinsero la proposta.
Il “no” anglo-americano spronò De Gaulle ad elaborare un disegno politico in cui l’Europa si poneva come “terza forza” fra USA ed URSS; questo sarà uno degli orientamenti di fondo della sua politica. Ed in questo quadro, doveva essere accentuata la leadership francese.
Il tentativo di De Gaulle di formare un "direttorio" franco-anglo-americano va chiaramente inquadrato nel contesto geopolitico dell'epoca. Da una parte c'erano le tre potenze occidentali vincitrici del secondo conflitto mondiale, dall'altra il blocco sovietico che turbava il sonno delle democrazie liberali. La Germania, all'epoca, tornava al ruolo di potenza economica ma era divisa e, politicamente parlando, poco più di un protettorato degli anglo-americani ad Ovest e dei sovietici a Est. Tuttavia, De Gaulle considerava l'asse franco-tedesco fondamentale per lo sviluppo della "nuova" Europa, in quanto prosecutore ideale del progetto carolingio che aveva unificato il continente, seppur per breve tempo, nel Medioevo. L'idea di un direttorio franco-tedesco è tornata d'attualità negli ultimi mesi con la stretta alleanza Merkel-Sarkozy che detta legge in ambito europeo per contrastare la crisi. Personalmente lo ritengo il punto debole del ragionamento di De Gaulle: non si può volere contemporaneamente un'Europa di stati-nazione dotati di pari dignità e pari potere decisionale, e un asse al suo interno che svolge il ruolo di guida. O l'uno o l'altro, non c'è soluzione di compromesso.
Ciò che intriga, del ragionamento di De Gaulle, è la formazione di un'Europa "terza forza", indipendente da entrambi i blocchi della sua epoca. Oggi, che di superpotenze militari ne è rimasta solo una, l'Europa ha bisogno comunque di affrancarsi dall'alleanza atlantica e di formare una propria forza autonoma, garante della sicurezza e della pace del continente.
Se De Gaulle fosse in vita, sicuramente si opporrebbe al progetto di "scudo spaziale" e alla persistente presenza di innumerevoli basi americane sul suolo europeo: caduto il pretesto della difesa dai "cattivoni" sovietici, l'Europa non ha più alcun bisogno di essere protetta da nemici che non esistono. Anzi, con la Russia va avviato un sostanziale avvicinamento considerato che gli interessi del blocco europeo e dei russi sono per molti versi comuni, o comunque affini; aspetto questo che De Gaulle, pur auspicando la fine del regime sovietico, aveva già evidenziato negli anni ’60 parlando di un’Europa estesa da Lisbona agli Urali.
E' interessante poi leggere la proposta che fece il governo De Gaulle ai partner europei attraverso la commissione Fouchet cinquant'anni fa, tra il 1961 e il 1962, per dare una struttura democratica e condivisa alle nascenti istituzioni europee. Leggiamola:
1.        un Consiglio dei Ministri, composto dai Capi di Stato e di Governo ovvero dai Ministri degli Esteri, che si sarebbe riunito ogni 4 mesi. Esso sarebbe stato il vero organo decisionale, con deliberazioni adottate all’unanimità;
2.       Assemblea parlamentare, con facoltà di proporre raccomandazioni ed interrogazioni anche al Consiglio dei Ministri;
3.        la Commissione politica, composta da alti funzionari dell’amministrazione degli affari
esteri di ciascun Stato membro, incaricata di assistere il Consiglio, di preparare e di
dare esecuzione alle sue decisioni;
Il principio ispiratore era quello della cooperazione fra Stati sovrani (e quindi più vicino ad un approccio confederale). Dopo due mesi, però fu elaborato il piano “Fouchet 2” che, rispetto a quello precedente, segnava un deciso passo indietro poiché ometteva i riferimenti alle strutture previste dai Trattati di Roma ed all’Alleanza Atlantica. Inoltre l’Assemblea comunitaria aveva poteri più ridotti. Infine, fu eliminata la prospettiva di un sistema di votazione a maggioranza.
In pratica esso era poco più che un “Patto di consultazione”. Gli altri Paesi non accettarono e dopo altri tentativi di compromessi, nell’aprile del ’62 il documento fu definitivamente abbandonato.
Il piano Fouchet 2, considerato troppo restrittivo, fece saltare l'accordo; tuttavia, nel complesso, si tratta di un piano che avrebbe dato all'Europa una struttura politica  più democratica di quanto non avvenga al giorno d'oggi, in quanto dallo schema di trattato si profilava un’unione tipicamente confederale, nella quale la Commissione - indipendente dagli Stati e responsabile di fronte al Parlamento – avrebbe lasciato posto a un organo intergovernativo, affiancato da un’Assemblea ridotta a un ruolo puramente consultivo. 
In estrema sintesi, scremando dalla visione gollista le concezioni legate a doppio filo alla situazione geopolitica della sua epoca - la Guerra Fredda e l'egemonia americana nella politica europea - possiamo, a cinquant'anni di distanza, riprendere quanto di buono e interessante l'idea gollista di Europa delle Patrie proponeva:
- una confederazione in cui veniva rispettata la sovranità e l'autonomia decisionale degli stati membri;
- il rifiuto del principio sovranazionale, di per sé antidemocratico, e l'affermazione invece del principio internazionale (il Consiglio dei Ministri come organo di maggiore importanza delle istituzioni europee);
- uscita dei paesi europei dalla NATO e formazione di un'alleanza militare continentale indipendente.
Su queste basi, è ancora oggi possibile ricostruire un'idea di Europa oggi svilita dal vassallaggio nei confronti della finanza internazionale e dei mercati; resta da capire quanto margine ci sia per farlo all’interno dell’Europa attuale, dominata dalla Commissione e da una visione prettamente mercantilista.

lunedì 2 gennaio 2012

Perchè questo blog



Questo blog nasce da alcune semplici constatazioni. La prima salta agli occhi appena si sfoglia un qualsiasi quotidiano: l'Europa come l'abbiamo conosciuta finora - ossia un aggregato di Stati che hanno ceduto buona parte della propria sovranità  a un'organizzazione sovranazionale - rischia di essere fatta a pezzi da una crisi finanziaria i cui effetti tutti riescono a vedere, ma che pochi riescono a comprendere.
L'economia voodoo dei prodotti finanziari "creativi", dei mutui subprime, dell'accumulo mostruoso di debito, sta cannibalizzando con l'avvitamento della sua crisi l'Europa unita nata sulle macerie della Seconda Guerra Mondiale e tenuta insieme dalla fede assoluta nei precetti del neoliberismo.
La seconda constatazione è che, alla fine della fiera, se l'Europa per avere diversi decenni di pace ha dovuto vendersi ai dogmi del mercato, è perchè inconsciamente disprezza sè stessa, la sua natura culturale e civile.
I disastri della WWII (d'ora in avanti, riferendomi a questo evento storico, userò per comodità l'abbreviazione inglese, che ci volete fare, sò pigro) hanno  condotto l'Europa occidentale a una forma di automortificazione - spesso inconscia ed implicita - che  ha notevolmente ridimensionato la sua autostima, giunta probabilmente ai minimi storici nel corso degli ultimi 60 anni. 
L'Europa orientale dal canto suo ha vissuto, dopo gli sfaceli terribili dell'occupazione nazista e dei regimi di estrema destra ad essa collegati, quarantacinque anni di, molto presunto, "socialismo reale", in cui ne sono successe di tutti i colori: dalla formazione di neosignorie ai limiti del paradossale (si pensi a Nicolae Ceausescu) alle insurrezioni d'Ungheria (1956) e Cecoslovacchia (1968), passando per la clamorosa suddivisione della città di Berlino attraverso il celeberrimo Muro (1961-1989), l'antifaschistischer Schutzwall (barriera antifascista) secondo la propaganda della Repubblica Democratica Tedesca.
L'Europa fu il teatro principale della Guerra Fredda, che oggi ricordiamo quasi bonariamente (soprattutto chi, come me, è troppo giovane per averla vissuta in prima persona), ma che conobbe momenti di tensione spaventosi e contribuì a creare un solco ancora più marcato tra le due metà dell'Europa, quella dell'Ovest preda dei sensi di colpa  e quella dell'Est col pugno chiuso.
Tra il 1989 e il 1991 tutto finì, come per magia, e restò soltanto un immenso, comune senso di colpa e di nostalgia indefinita. A Est esso fu somatizzato con la svendita della propria dignità al nuovo padrone americano. Poi Maastricht, l'introduzione dell'euro, il neoliberismo interpretato come la panacea, la cura di tutti i mali per l'Europa vecchia e dal cuore stanco.
Poi ancora, la crisi, il neoliberismo che mostra il fianco, il capitalismo che traballa, l'avidità dei mercati, la tecnocrazia al potere - per metterci una pezza - in Italia e in Grecia che, per un triste paradosso, sono le patrie della cività classica e dell'Europa più autentica, lontana dai mercanteggi della finanza moderna.
Qui nasce la terza considerazione: l'Europa è un'entità che ha tremila anni di storia. Anno più, anno meno.
Ha visto nascere e cadere imperi, ha sopportato invasioni e si è reinventata centinaia di volte costruendo una civiltà multiforme, sfaccettata e raffinatissima. L'Europa ospita nazioni che, nel corso della storia, hanno dato i natali a individui dotati di genio assoluto nelle arti, nelle scienze, nella politica e in ogni altro campo del sapere e del vivere comune. L'Europa ha creato un modello di civiltà che ha sempre avuto il pregio di sapersi rinnovare e modificare, anche radicalmente, a seconda del cambiamento delle esigenze comuni.
Il potenziale che ha il Vecchio Mondo - come lo chiamano coloro che più ci guadagnano dal senso di colpa eterno che incombe sugli europei - è tale da rendere del tutto superflua la stessa crisi, che non ha identità, non ha volto, non ha radici. L'Europa - o meglio il coacervo delle tante nazioni che la compongono - invece queste radici le ha. E sono belle forti. Deve solo trovare il coraggio di guardarsi allo specchio e capire che non è più tempo di affidare agli altri - ai drogati del business, alla mercatocrazia, agli oligarchi - il suo futuro e quello dei suoi figli.
Di questo parleremo in questo blog, con la speranza di raccogliere tanti interventi di persone che non ci stanno a farsi succhiare via l'anima da un manipolo di farabutti senza dignità. Ma parleremo anche dell'Europa di tutti i giorni: di quella culturale, artistica e sociale. Non ci faremo scappare nulla o, almeno, ci proveremo.